Perché i medici non credono nell'omeopatia?
Alcuni studi dimostrano come l'omeopatia non venga presa
in serie considerazione dalla medicina e quindi non sia neppure degna di essere
studiata
di Beatrice Andreoli - 04/04/2016
Perché i medici non credono nell'omeopatia?
L’omeopatia e la sua valenza o mancanza di efficacia
terapeutica sono ad oggi fonte di discussione, sia tra gli esperti che
all’interno del contesto sociale. Continuamente sono pubblicati articoli o
commenti le cui conclusioni portano a detrarre la pratica omeopatica e spesso
anche la classe medica esprime dichiarazioni contro l’uso dell’omeopatia a
scopo terapeutico. Sarebbe interessante, riguardo quest’ultimo punto,
comprendere i motivi che portano a volte i medici stessi a non offrire alcun
credito all’omeopatia.
A questo proposito è interessante l’articolo di Barros e
Fiuza intitolato “Evidence-based medicine and prejudice-based medicine: the
case of homeopathy” (Cad Saude Publica. 2014 Nov;30(11):2368-2376), pubblicato
nel 2014. L’articolo riprende i dati di una ricerca precedente, nella quale era
stata condotta un’intervista a 176 medici appartenenti all’”University of
Campinas Medical School”, una delle più importanti scuole di medicina del
Brasile.
Il 49% degli intervistati aveva dichiarato in quella
occasione di non considerare l’omeopatia come una disciplina da includere
all’interno del curriculum professionale di un medico. Lo studio qualitativo
condotto, quindi, ha analizzato i motivi che possono spingere ad una posizione
di questo tipo. Sono stati intervistati 20 medici affluenti a 15 differenti
specializzazioni (ginecologia e ostetricia, nefrologia, dermatologia,
cardiologia, radiologia, oftalmologia, otorinolaringoiatria, malattie
infettive, ortopedia, chirurgia plastica, pediatria, anestesia, urologia,
psichiatria e radioterapia).
I risultati hanno mostrato come:
la minoranza di essi ammetteva di possedere una
conoscenza insufficiente per poter formulare un giudizio sull’omeopatia,
nessuno dei medici intervistati ha espresso un’obiezione
netta al riguardo e
la maggioranza di essi ha mostrato un pregiudizio,
affermando che non esiste una evidenza scientifica sufficiente a supporto
dell’omeopatia (essendo oggi fondamentale una applicazione della EBM),
sostenendo la propria posizione sulla base di un’opinione personale, di una
pratica clinica limitata e di informazioni proposte dai mass media.
Nessuna delle obiezioni si basava su una conoscenza dei
principi dell’omeopatia e le diverse giustificazioni si basavano su concetti
generali e sul senso comune. Sicuramente è emersa una relazione importante tra
una scarsa conoscenza dell’omeopatia e il giudizio negativo attribuito alla
pratica di questa disciplina.
Il risultato di una prospettiva di questo tipo, sebbene
lo studio sia stato condotto su un numero esiguo di partecipanti, porta secondo
gli Autori al generarsi di una “invisibilità sociale”. Di conseguenza, essi
ritengono necessario un “esercizio di visibilità”, che permetta una discussione
e un confronto sull’omeopatia all’interno della comunità scientifica. Un
passaggio fondamentale dovrebbe essere l’aumento della ricerca rigorosa e
condotta con una metodologia adeguata nel campo dell’omeopatia, tuttavia questa
rimane ad oggi difficile da realizzare a causa di:
una scarsa pratica delle medicine complementari (CAM,
Complementary and Alternative Medicines) negli ambienti accademici,
una carenza di finanziamenti adeguati, soprattutto per
mancanza di interesse e;
una carenza di cooperazione tra ricercatori biomedici e
CAM.
Secondo gli Autori, l’invisibilità delle medicine
complementari diviene pregiudicante non solo per la conoscenza scientifica ma
anche per i pazienti, i quali potrebbero non optare per questo tipo di cura a
causa del rischio di “umiliazione sociale”. Non è giusto affermare che un tipo
di terapia sia migliore di un’altra, mentre è importante comprendere come sia
giusto fornire la corretta visibilità a tutte le discipline mediche esistenti.
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è espressa riguardo le terapie
non convenzionali (World Health Organization. Traditional medicine strategy:
2002-2005. Geneva: World Health Organization; 2002).
Purtroppo, gli Autori individuano un circolo vizioso nel
fatto che all’interno dei corsi universitari che formano la futura classe
medica le medicine complementari non posseggono spesso alcuna visibilità,
producendo un rifiuto a priori alla loro applicazione da parte dei
professionisti, il quale genera a sua volta l’invisibilità sociale di tali pratiche.
Gli Autori concludono quindi come sia fondamentale
l’inserimento dello studio delle CAM nei corsi universitari, e il 51% dei
medici intervistati si sono espressi favorevolmente al riguardo. Inoltre, essi
sottolineano come sia sbagliato opporsi alla pratica delle CAM solo sulla base
della mancanza di evidenze scientifiche: questo infatti non significa che sia
dimostrato che le terapie complementari non siano efficaci, ma significa che
evidenze e nuovi studi sono attesi.
Sicuramente un singolo studio, condotto in un unico
centro, non è sufficiente a sciogliere ogni interrogativo. Tuttavia, esso mette
in luce vari punti interessanti. Una sua lettura critica, infatti, può portare
a comprendere come spesso le argomentazioni da parte dei medici contrari alla
pratica dell’omeopatia non siano supportate da una adeguata conoscenza della
stessa e di come sarebbe indicata una formazione specifica all’interno
dei corsi universitari di Medicina.
In Italia, in particolare, l’omeopatia è stata
riconosciuta come terapia medica a tutti gli effetti dalla federazione degli
Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri e dalla Conferenza Stato-Regioni, che
in data 07 febbraio 2013 ha promulgato le linee guida per l’istituzione dei
registri dei medici che praticano le medicine complementari. Una sua conoscenza
da parte dei medici afferenti a specializzazioni diversi porterebbe ad una più
corretta “visibilità” della materia.
Spesso i pazienti, coloro i quali potrebbero beneficiare
della terapia omeopatica, sono spinti a non prenderla in considerazione a causa
del pregiudizio di medici non adeguatamente informati, oppure vi ricorrono solo
nel tentativo estremo di risolvere una condizione etichettata come “senza
speranza”. Se ogni medico, pur non praticandola, possedesse una conoscenza
corretta della omeopatia stessa, anche il dialogo col paziente si rivelerebbe
più coerente da parte dei diversi professionisti e ciò potrebbe condurre ad un
maggior beneficio da parte del malato.
Sulla base di queste brevi considerazioni, l’invito è
quindi quello ad un dialogo costruttivo e soprattutto allo sviluppo di nuove
evidenze scientifiche, ottenute con le più attuali metodologie, capaci di
sostenere a loro volta un confronto critico all’interno della comunità
scientifica. Per il momento, finché non saranno disponibili i dati attesi, è
bene ancora una volta non confondere il concetto di “assenza di evidenze” con
quello di “evidenza di assenze”.
Marta Del Giudice, Nicola Del Giudice
Omeopatia - Libro >>> http://goo.gl/lSVqh6
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