Quanto ci influenza il senso di colpa?
Perché siamo così legati a questo senso di peccato e
terrore?
di Kenneth Wapnick - 01/02/2016
Quanto ci influenza il senso di colpa?
Quello che facciamo con la colpa, questo senso di peccato
e terrore che sentiamo, è far finta che non ci sia.
Lo spingiamo semplicemente via dalla nostra
consapevolezza, e questo spingere via è conosciuto come repressione o
negazione.
Semplicemente ne neghiamo l’esistenza a noi stessi.
Il senso di colpa: la negazione
Per esempio, se siamo troppo pigri per spazzare il
pavimento, mettiamo lo sporco sotto il tappeto e poi facciamo finta che non ci
sia; o uno struzzo impaurito che ficca la testa nella sabbia così da non dover
affrontare né guardare ciò che lo sta terrorizzando tanto. Beh, questo non
funziona per ovvi motivi. Il continuare a spazzare lo sporco sotto il tappeto
lo renderà pieno di protuberanze e alla fine incespicheremo, mentre lo struzzo
potrebbe farsi seriamente male se restasse nella sua posizione a testa in giù.
Ma a un qualche livello sappiamo che la nostra colpa c’è.
Così torniamo dall’ego e diciamo che «la negazione andava
molto bene, ma devi fare qualcos’altro. Questa roba sta montando e io sto per
esplodere. Per favore aiutami». E allora l’ego risponde: «Ho proprio la cosa
che fa per te». […]
Proiezione: come l’ego ci risponde
Proiezione significa molto semplicemente che prendi
qualcosa da dentro di te e dici che in realtà non è lì: è fuori in qualcun
altro.
La parola stessa significa letteralmente buttare fuori, o
scagliare via da o verso qualcun altro; e questo è ciò che noi tutti facciamo
con la proiezione.
Prendiamo la colpa o il senso di peccato che crediamo
essere dentro di noi e diciamo: «In realtà non è dentro di me, ma è in te. Non
sono io ad essere colpevole, sei tu il colpevole. Non sono io a essere
responsabile per come mi sento miserevole e infelice: tu lo sei».
Dal punto di vista dell’ego non ha importanza chi sia
“tu”.
All’ego non importa su chi proietti fintanto che trovi
qualcuno su cui scaricare la tua colpa. Questo è il modo in cui l’ego ci dice
che possiamo liberarci dalla colpa. […]
Prendiamo i nostri peccati e diciamo che non sono in noi:
sono in te. E poi interponiamo della distanza tra noi e i nostri peccati.
Nessuno vuole stare vicino alla propria peccaminosità e
così la prendiamo da dentro di noi e la piazziamo su qualcun altro, e poi
bandiamo quella persona dalla nostra vita.
Ci sono due modi fondamentali per fare ciò. Uno è di
separarci fisicamente da un’altra persona; l’altro è di farlo psicologicamente.
La separazione psicologica è in realtà la più devastante e anche la più
sottile.
Il modo in cui ci separiamo da qualcun altro, una volta
che gli abbiamo messo addosso i nostri peccati, è di attaccarlo o di
arrabbiarci con lui.
Qualsiasi espressione della nostra rabbia – sia nella
forma di un lieve fastidio o di furia intensa (non fa alcuna differenza: sono
entrambe la stessa cosa) – è sempre un tentativo di giustificare la proiezione
della nostra colpa, non importa quale sembri essere la causa della nostra
rabbia.
La vera causa della rabbia
Questo bisogno di proiettare la nostra colpa è la causa
prima di tutta la rabbia.
Non è necessario essere d’accordo con quello che gli
altri dicono o fanno, ma nel momento in cui si fa l’esperienza di dare una
risposta personale di rabbia, giudizio, o critica, è sempre perché si è visto
in quell’altra persona qualcosa che si è negato in se stessi.
In altre parole, si sta proiettando il proprio peccato e
la propria colpa su quella persona e la si attacca lì. Ma questa volta non li
si sta attaccando in se stessi: li si sta attaccando in quell’altra persona e
si vuole fare in modo che quella persona stia il più lontano possibile.
Ciò che si vuol fare in realtà è portare il proprio
peccato il più possibile lontano da se stessi.
Tratto dal libro “Introduzione a un corso in miracoli” di
Kenneth Wapnick
Kenneth Wapnick
Introduzione a Un Corso In Miracoli - Libro >> http://goo.gl/kqknwp
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